Sempre tra i 37 Comuni che vanno ad elezioni amministrative a giugno, ce ne sono un tot che decisamente dovrebbero cambiare il loro modo di agire. Si tratta dei Comuni che non realizzano i processi di democrazia partecipata e dunque “rinunciano” ai fondi loro destinati ma anche dei Comuni che non hanno mai adottato il regolamento, dei Comuni che non consentono alla cittadinanza di presentare progetti o di votarli, entrambe fasi previste per legge, dei Comuni che accumulano ritardi così grandi da impattare negativamente sia sulle realizzazioni sia sulla fiducia della popolazione.
Libero Consorzio di Agrigento
Nell’Agrigentino a Naro (7.051 abitanti) il regolamento di democrazia partecipata c’è (ed è datato 2020) ma i fondi, che sono attorno ai 7 mila euro annui, restano non spesi e vengono quindi “restituiti” alla Regione perché i processi non vengono attivati. La notizia più vicina nel tempo che i ricercatori di “Spendiamoli Insieme” hanno rintracciato risale al 2020 quando il Comune pubblicò un avviso per chiamare i cittadini alla partecipazione, avviso a cui non diede seguito.
Il Comune oggi commissariato di Campobello di Licata (9.175 abitanti) dispone di fondi annuali di democrazia partecipata che viaggiano attorno ai 12 mila euro e svolge da sempre i propri processi. C’è però un grosso “ma”. Nella cittadina manca infatti il regolamento di democrazia partecipata, obbligatorio per legge. L’anno scorso, inoltre, il Comune non ha reso noto il numero di votanti (vedi esito) al contrario di quanto accaduto nel 2022. Niente votazioni, poi, sia nel 2021, a fronte di un solo progetto presentato e “automaticamente” finanziato, sia nel 2020 quando – testuale – “il Consiglio Comunale ha deliberato all’unanimità” il progetto da finanziare.
A Racalmuto (7.645 abitanti) si parte male fin dal regolamento di democrazia partecipata, adottato nel 2019, che, semplicemente, non prevede l’espressione di preferenze da parte dei cittadini. I progetti vengono scelti direttamente dalla Giunta con approvazione, in seno al Bilancio, da parte del Consiglio. Detto questo, la cittadina ha fondi annuali di democrazia partecipata di 12 mila e rotti euro e riesce ad assegnarli un anno sì e uno no.
Area Metropolitana di Catania
Partito benissimo in anni in cui quasi tutti i Comuni faticavano a capire la legge sulla democrazia partecipata, Aci Castello, (17.975 abitanti), si è perso per strada. Per il 2024 ancora non si trovano notizie. Il processo 2023 si può dire appena concluso con il verbale del tavolo tecnico del 15 marzo 2024 che giudica ammissibile un solo progetto. E poi: il processo del 2022 si è chiuso il 15 giugno 2023, ha visto la presentazione di appena due proposte e una votazione alla quale hanno partecipato solo 65 cittadini; il processo del 2021 si è completato nel marzo 2022 e per giunta senza votazioni perché è stato presentato un solo progetto. Insomma, Aci Castello deve davvero fare di più e meglio. Anche perché il regolamento che ha adottato è del 2015 ed è così vecchio che nemmeno prevede la fase delle votazioni.
Non diversamente succede in un altro Comune del Catanese che a giugno va alle urne, Motta Sant’Anastasia (12.054 abitanti), che però il regolamento l’ha approvato nel 2020. Manca qui persino la scusante della “vecchiaia” del documento, il quale non prevede l’espressione di preferenze da parte dei cittadini e prevede, al contrario, che a scegliere il progetto da finanziare sia un tavolo tecnico-politico. Comunque sia, la cittadina etnea dispone ogni anno di circa 8 mila euro, l’anno scorso non ha svolto il processo e per quest’anno ancora non se ne parla. Negli anni precedenti i fondi sono stati assegnati, sempre però senza la fase della votazione.
Ancora peggio Zafferana Etnea che da sempre rimanda al mittente i circa 12/13 mila euro annui disponibili. La cittadina (9.383 abitanti) ha un regolamento di democrazia partecipata datato 2018, ma non attiva i processi.
Area Metropolitana di Messina
Condrò (464 abitanti) ha circa 7.500 euro annui disponibili per la democrazia partecipata e un regolamento del 2020. E però i cittadini possono solo scegliere l’area tematica, ovvero l’ambito, in cui far ricadere le attività finanziate con i fondi annui. Che significa? Significa – come dimostrano i dati – che non c’è partecipazione. L’anno scorso, per capirci, hanno votato in 7. E negli anni precedenti qualche volta il processo non si è attivato, qualche altra non si sono rintracciati gli atti (l’avviso, l’esito, l’impegno di spesa). Insomma, poco di buono e molto da migliorare.
A Longi (1.350 abitanti) nel regolamento di democrazia partecipata, datato 2017, la fase della votazione da parte dei cittadini per scegliere il progetto da realizzare non è prevista. Le scelte – per i 4/5 mila euro annui disponibili – le fa il Comune. A scanso di equivoci, lo stesso avviso che avvia il processo di quest’anno informa che “l’amministrazione (salvo eventuali diverse e meritevoli proposte progettuali) intende destinare l’importo all’acquisto di attrezzature per eventi socio-culturali ricreativi e manifestazioni varie”. Un modo neanche troppo raffinato di scoraggiare le proposte da parte dei cittadini, “relegate” dentro una parentesi.
Pure a Mandanici (531 abitanti) qualcosa non torna. La cittadina ha fondi annui di democrazia partecipata attorno ai 5 mila euro e un regolamento adottato nel 2019. Cosa succede qui? Nel 2021 furono raccolte 26 proposte, tutte relative all’area tematica “spazi ed aree verdi” e destinate in maggioranza ad “arredo urbano, acquisto di cestini per la raccolta differenziata e le deiezioni canine e di sanificatori”. Nel 2022 stessa storia: 20 proposte, se così vogliamo chiamarle, tutte riferite a “spazi ed aree verdi” e votate all’acquisto di fioriere. Nel 2023 il copione si ripete. L’area tematica cambia, perché si tratta di “attività sociali, culturali e sportive”, le proposte presentate sono 17 e la maggioranza riguarda attività ricreative per gli anziani. L’unanimità sfiorata tutti gli anni potrebbe pure essere prova di una comunità particolarmente coesa, ma il meccanismo risulta comunque scorretto, anzitutto in riferimento alla normativa. La fase di raccolta dei progetti e quella di espressione della preferenza sembrano infatti essere unificate.
Area Metropolitana di Palermo
Nel Comune di Cinisi, oggi commissariato (11.941 abitanti) che andranno al voto per le Amministrative di giugno, è proprio il regolamento di democrazia partecipata, adottato nel 2018, a consentire di “saltare” la fase della votazione delle preferenze da parte della popolazione, che pure è obbligatoria per legge. E infatti il documento prevede che solo “qualora i progetti presentati, dopo avere superato la valutazione di fattibilità tecnico-giuridica da parte degli uffici, richiedano un impegno di risorse superiore a quello previsto per ciascuna area tematica, saranno sottoposti alla valutazione della cittadinanza, che potrà esprimersi con una scheda di voto”. Sembrerebbe una considerazione ovvia. Se ci sono fondi sufficienti per tutte le proposte arrivate, la votazione non ha ragione d’essere. E però è davvero statisticamente probabile che ogni anno si riesca a non consultare i cittadini? A Cinisi – che ha fondi annuali di circa 7.500 euro – accade proprio questo. Nel 2023 3 proposte arrivate, 2 scartate, 1 ammessa e finanziata. Niente votazioni. Nel 2022 10 proposte arrivate, giudicate “tutte equivalenti” e tutte ammesse e finanziate. Niente votazioni. Nel 2021 3 proposte, “equivalenti” e finanziate. Niente votazioni. E il copione si ripete anche tornando ancora di più indietro negli anni. Comunque sia, il meccanismo adottato nella cittadina non sembra essere di quelli che realizzano vera partecipazione. Ancora una volta, la domanda è legittima: senza partecipazione, che democrazia partecipata è?
Anche a Corleone (10.493 abitanti) per la democrazia partecipata non si vota. La fase dell’espressione delle preferenze manca proprio nel regolamento, datato 2017. Non bastasse, nel 2023 tutto il processo risulta realizzato in “calcio d’angolo”. La città – che aveva 12 mila euro a disposizione – ha pubblicato l’avviso il 18 dicembre e l’esito è arrivato il 2 febbraio di quest’anno, doppiamente fuori tempo massimo. Avendo più di 10 mila euro disponibili, Corleone avrebbe dovuto pubblicare l’avviso entro il 30 giugno e – comunque – l’impegno di spesa secondo la normativa doveva essere preso entro il 31 gennaio di quest’anno.
Votazioni di democrazia partecipata assenti pure a Monreale (38.665 abitanti). Nel regolamento, datato 2019, si prevede o la consultazione, con tanto di espressione di preferenza da parte dei cittadini, o la progettazione partecipata, nella quale devono essere coinvolti tutti i portatori di interesse. Peccato però che i cittadini possano “preferire” solo tra progetti presentati dal Comune. Il risultato è che i fondi di democrazia partecipata (annualmente tra i 13 mila e i 15 mila euro) sono destinati a opere o servizi predisposti dall’Amministrazione. Belli o brutti che siano, il problema è che la normativa e la ratio della democrazia partecipata prevedono che siano i cittadini a proporre i progetti tra i quali poi sempre i cittadini devono scegliere quello o quelli da realizzare.
A Palazzo Adriano (1.849 abitanti) non si sa quello che succede. I ricercatori di “Spendiamoli Insieme” hanno trovato qualche volta gli avvisi con cui si avvia il processo di democrazia partecipata ma mai gli esiti. E in qualche anno, come nel 2023, non sembra esserci nemmeno l’avviso. La cittadina dispone di 11/12 mila euro annui. Il regolamento c’è ed è del 2017 ma prevede che sia l’Amministrazione a scegliere i progetti.
Invece a Roccamena (1.394 abitanti) il regolamento di democrazia partecipata non c’è. Un anno sì e due no il Comune svolge comunque il processo e assegna i fondi (circa 7 mila euro annui). È successo nel 2023, quando l’intero iter si svolse a dicembre (una sola proposta pervenuta e automaticamente finanziata). Nulla di fatto invece nel 2022. Nel 2021 ancora una sola proposta ricevuta e ammessa a finanziamento.
Libero Consorzio di Trapani
Castelvetrano (29.592 abitanti) è uno dei Comuni che fanno peggio, per il semplice motivo che non attiva i processi, rimanda al mittente i fondi (che dalle informazioni ufficiali stanno attorno ad appena 1500 euro annui) e non ha ancora nemmeno il regolamento, del quale si sa solo che una proposta è stata approvata dalla Giunta e deve passare in Consiglio Comunale.
In ritardo pure Mazara del Vallo (50.312 abitanti). La città ha un regolamento di democrazia partecipata che è stato modificato nel 2021 e – stando agli ultimi dati ufficiali – dispone di circa 2000 euro annui. Ma in pratica non svolge i processi. I ricercatori hanno trovato talvolta degli avvisi e non gli esiti, e comunque solo andando indietro nel tempo. Nell’ultimo triennio della democrazia partecipata a Mazara del Vallo non c’è traccia. EDIT: abbiamo parlato con l’assessore Gianfranco Casale, di Mazara del Vallo. Il Comune ha appena avviato i processi del 2022 e del 2023.
A Salaparuta (1.595 abitanti) fin nel regolamento (che è del 2021) le fasi di presentazione delle proposte e di espressione di preferenze sono unificate, contrariamente a quanto previsto dalla legge. Non per caso, i progetti di anno in anno realizzati con i fondi di democrazia partecipata (circa 12/13 mila euro annui) sono sempre definiti dal Comune, ovviamente in contrasto con la normativa.
Non si prevede la fase della votazione anche nel regolamento di democrazia partecipata, datato 2017, di Salemi (10.082 abitanti). La scelta dei progetti a cui assegnare i fondi e delle risorse da assegnare a ciascuno di questi progetti viene fatta dalla Giunta e poi approvata dal Consiglio Comunale. Non bastasse, la fase della presentazione dei progetti da parte dei cittadini si svolge negli ultimi mesi dell’anno, nonostante, con fondi annuali di circa 11 mila euro, dovrebbe essere realizzata entro il mese di giugno.
Iria Cogliani
Le informazioni contenute in questo pezzo si basano sui dati di “Spendiamoli Insieme”, aggiornati al 29 marzo 2024
Cinisi, foto di Bjs, via Wikipedia