Democrazia partecipata, questa sconosciuta: tutto quello che si dovrebbe, e potrebbe, fare

Democrazia partecipata, questa sconosciuta: tutto quello che si dovrebbe, e potrebbe, fare

Si fa presto a dire democrazia partecipata. Sebbene si faccia spesso, anche nei nostri articoli, riferimento ad una legge siciliana sulla democrazia partecipata, in Sicilia questa legge non c’è. Come scrive Giovanni Mazzone (“La democrazia partecipata da Porto Alegre a Solarino”, 2021, Ed. Gepas), tocca orientarsi tra disposizioni, sparse come monade nei singoli articoli delle varie leggi regionali di stabilità ed aggiornate, quasi annualmente, nella permanente sperimentazione di un precario equilibrio, capaci, però, di imprimere alla partecipazione democratica dei cittadini nuovi ed inesplorati percorsi.

Per una ricostruzione delle disposizioni, i riferimenti di legge a cui fare riferimento sono:

  • Legge regionale 5/2014 (art. 6, comma 1) secondo cui, ogni anno, i Comuni Siciliani sono tenuti a spendere almeno il 2% dei fondi che ricevono dalla Regione con forme di democrazia partecipata
  • Legge regionale n.9/2015 (art.6 comma 2), in cui si introduce una sanzione per i Comuni inadempienti, che devono restituire la somma non spesa alla Regione.
  • Legge Regionale 8/2018 (art. 14 comma 6) per cui ogni Comune deve dotarsi di un Regolamento per la spesa dei fondi, a tutela di un effettivo processo partecipativo. Quelli che hanno a disposizione più di 10.000 euro devono avviare il processo entro il 30 giugno.
  • Legge Regionale 9/2020 (art. 1 comma 5) secondo cui le somme restituite dai Comuni inadempienti “sono ripartite tra i comuni virtuosi che hanno impegnato le somme” oggetto della legge.
  • Tre circolari esplicative (n. 5 del 9 marzo 2017, n. 14 del 12 ottobre 2018, n. 9 del 16 giugno 2021) dell’Assessorato delle Autonomie Locali e della Funzione Pubblica.

La mancanza di una legge organica e la presenza invece di questo frastagliato quadro normativo è “il problema dei problemi”, come sostiene il team di ricercatori e analisti di “Spendiamoli Insieme”, il progetto di monitoraggio civico e advocacy della no profit Parliament Watch Italia (PWI). Secondo il team di “Spendiamoli insieme” andrebbe approvato un vero e proprio testo di legge sulla democrazia partecipata in Sicilia, arricchito dall’ascolto delle esperienze territoriali di applicazione della legge in questi sette-otto anni.

Il fattore tempo

Andando nel dettaglio, il fattore tempo è uno di quelli che fanno la differenza, sia sul piano pratico sia sul piano normativo. Un anno-tipo secondo articoli di legge e circolari dovrebbe svolgersi più o meno come si descrive di seguito.

  • Prima scadenza: entro il 30 giugno il processo per l’anno in corso deve essere stato avviato obbligatoriamente per ogni Comune che ha a disposizione almeno 10 mila euro. Com’è andata nel 2022 dal punto di vista del rispetto di questa scadenza? 2 Comuni su 3 non l’hanno rispettata. Su 172 Comuni coinvolti, 50 hanno avviato il processo entro la scadenza, 122 non l’hanno fatto.
  • Seconda scadenza: il 15 settembre la Regione invia a tutti Comuni la scheda di rilevazione nella quale i Comuni devono rendicontare il processo effettuato e la spesa effettuata; per farlo hanno tempo fino al 31 gennaio dell’anno successivo, data in cui i fondi dedicati alla democrazia partecipata devono essere ufficialmente destinati e impegnati.
  • Terza scadenza: sulla base di questi dati, entro il 28 febbraio la Regione redistribuisce i fondi non spesi dai Comuni inadempienti a tutti quei Comuni che invece hanno speso pienamente i propri fondi. Su questa scadenza ad oggi non ci siamo, dato che la Regione ha pubblicato soltanto il 29 dicembre 2022 la lista dei Comuni virtuosi relativa al 2019.

A questo calendario si aggiunge qualche scadenza dettata dal buon senso. Se per rispettare la legge i fondi annuali devono risultare interamente impegnati entro il gennaio dell’anno successivo, tutto il percorso dovrebbe essere avviato molto per tempo, non fosse altro che per attuare gli step obbligatori. Il percorso infatti prevede da parte di ogni singolo Comune un avviso nel quale si chiede ai cittadini di presentare proposte e progetti a valere sulla democrazia partecipata, si indicano le aree tematiche a cui questi progetti e queste proposte devono fare riferimento, si dichiara il budget, cioè il totale dei fondi disponibili, si forniscono tutte le informazioni tecniche necessarie. L’avviso non può avere una scadenza eccessivamente ravvicinata. I cittadini devono infatti avere il tempo di ideare, progettare e depositare. Il buon senso indica un minimo di 15 giorni nei Comuni più piccoli e di 30 giorni per le città più popolose.
Alla fase della raccolta delle proposte dei cittadini, deve far seguito una fase tecnica di verifica di fattibilità delle proposte da parte degli uffici comunali. Anche in questo caso, un po’ di tempo serve, soprattutto se le proposte sono numerose o se necessitano di chiarimenti per essere analizzate. Dopo di che si deve passare alla fase della scelta del progetto o dei progetti da realizzare. La normativa dice chiaramente che sono i cittadini a dover scegliere. Dunque, a questo punto, i Comuni devono indire le votazioni e/o le assemblee che consentano di esprimere e raccogliere le preferenze. Una volta raggiunto questo traguardo, però, bisogna anche che le proposte “vincenti” vengano realizzate e che le somme vengano effettivamente destinate a questo scopo.
Può sembrare banale ma prima si avvia il processo meglio è. Trattandosi di un iter che si riapre ogni anno, d’altronde, sarebbe il caso di iniziarlo e completarlo (con tanto di liquidazione delle somme) proprio nell’arco dell’anno.
La domanda dunque è: non sarebbe meglio che la tabella di marcia sia definita dalla Regione una volta per tutte e per tutti i Comuni, qualunque sia la somma che hanno a disposizione? È una domanda retorica, la risposta è certamente sì.

Il fattore informazione

Rispettare i tempi però non basta. Bisogna infatti che i cittadini siano adeguatamente informati, altrimenti, semplicemente, non sapranno di poter presentare proposte né di poter votare la proposta che preferiscono. L’apparato normativo impone la pubblicazione dei vari documenti sul sito istituzionale dei Comuni, e per quanto si tratti di un adempimento facile facile, si sa che non tutti gli Enti lo rispettano. Ma c’è poi un punto dolente più “trasversale”. Se i diversi step – avviso, elenco dei progetti ammessi a selezione, indizione di votazioni o di assemblee, esito delle selezioni, appostamento e liquidazione delle somme – stanno dispersi in pagine e sezioni diverse del sito, oppure si trovano soltanto nei sovraccarichi albi pretori online, non è detto che i cittadini riescano a trovarli. Anche perché – e qui torna la questione tempo – non c’è un periodo dell’anno circoscritto in cui le diverse fasi vanno realizzate. In via teorica i cittadini dovrebbero controllare i siti dei loro Comuni ogni giorno per poter essere informati. E per quanto la democrazia partecipata sia una bella cosa, pretendere un impegno costante di questo genere è probabilmente chiedere troppo.
Sotto questo profilo, oltre alla già citata tabella di marcia definita e unitaria per tutti i Comuni, sarebbe opportuno prevedere nei siti web istituzionali una sezione dedicata alla Democrazia Partecipata, pubblicata con buona evidenza in home page e che ospiti, anno dopo anno, tutti i documenti e le informazioni necessarie per agevolare la partecipazione. Ad oggi ad averlo fatto è stato poco più del 14% degli enti, 56 su 391.
Detto questo, c’è il problema della chiarezza delle informazioni date. L’avviso è di norma lo strumento più comprensibile. C’è una data entro la quale presentare la propria proposta e la modalità con cui presentarla. Ma che dire della fase delle preferenze? Io cittadino come faccio a scegliere se di un progetto conosco giusto il titolo e poco altro? Non sempre, anzi quasi mai, i Comuni forniscono sintesi ragionate dei progetti, dando tutte le informazioni necessarie a qualificare una scelta da parte dei cittadini. Ovviamente, la “traduzione” dei progetti in testi brevi e completi è un lavoro di comunicazione vera e propria, e non è detto che ci sia in ogni Comune una figura professionalizzata che abbia tempo e modo di farlo. Eppure è indispensabile. D’altronde, che per o nei Comuni operino professionisti della comunicazione è fondamentale sia per questi adempimenti sia per mille altri, tra i quali va considerata anche una adeguata campagna di informazione e promozione proprio della democrazia partecipata.
Il fattore informazione, infatti, non riguarda solo i singoli passaggi e i singoli processi, riguarda l’intera materia. Giunti all’antivigilia del decennale dall’entrata in vigore della normativa, ancora pochissimi siciliani la conoscono. E, neanche a dirlo, la conoscenza è alla base di tutto, a partire dalla partecipazione.

Il fattore progettazione

Ma torniamo ai progetti. Ogni Comune si è organizzato a modo proprio. Ci sono quelli che forniscono una scheda da compilare ai cittadini, ci sono quelli che offrono delle semplici linee-guida, ci sono quelli che non danno alcuna indicazione precisa. Ora, poiché – come dice la legge – ogni cittadino o gruppo di cittadini può presentare un progetto, si deve presupporre che come d’incanto tutti i siciliani abbiano acquisito le competenze necessarie a ideare e redigere una proposta progettuale compiuta. Non è così, come è ovvio, né lo si potrebbe mai pretendere. Come sciogliere questo nodo? In alcuni Comuni si stanno sviluppando esperienze-pilota di co-progettazione. Ovvero il cittadino presenta l’idea e la sviluppa tecnicamente con l’ausilio degli uffici comunali. È una strada corretta, anche alla luce di tutta la legislazione più recente. Ma è una strada impegnativa. Molti Enti hanno grandi difficoltà a svolgere l’attività ordinaria e non è detto che possano supportare adeguatamente le progettazioni. Una prima, seppur parziale, soluzione al problema è l’ideazione di una “scheda per la presentazione del progetto” chiara, che offra le giuste indicazioni e guidi il soggetto proponente verso una corretta compilazione.

Il fattore soldi

La questione soldi è di importanza ovvia. Per un’infinità di ragioni.
Nessun Comune sa in tempo reale esattamente di quanti fondi può disporre per la propria democrazia partecipata. L’individuazione delle risorse è un esercizio di previsione. È la Regione stessa a indicare ai Comuni di fissare la somma, in via provvisoria, facendo riferimento all’anno precedente. Questo perché il calcolo definitivo del trasferimento regionale ai Comuni arriva con grande ritardo. Soltanto a maggio 2022, per fare un esempio, è arrivato il calcolo definitivo, che include la somma minima da destinare ai processi di democrazia partecipata, per l’anno 2020. E ancora non si hanno notizie per il 2021, 2022 e, figuriamoci, per il 2023. Il dato è che l’informazione ufficiale finora è arrivata dalla Regione due anni dopo il momento opportuno. Il rischio è che i Comuni appostino somme “errate” rispetto alla reale disponibilità. Il che è un problema da tutti i punti di vista: se la somma ufficiale è inferiore rispetto alle previsioni si dovranno escludere progetti che erano inizialmente finanziati. Se è maggiore, si va verso il non utilizzo delle somme in più. Il risultato è, appunto, un ulteriore motivo di confusione. E, si sa, nella mischia si rischia di perdere di vista la palla.
Una ricetta risolutiva potrebbe essere, anche qui, un atto di deliberazione della Regione che definisca e assegni le somme “d’imperio”. Non è una soluzione semplice ma è qualcosa su cui occorre ragionare. D’altronde, dati ufficiali alla mano (ed escludendo il 2016, anno “anomalo” della democrazia partecipata in Sicilia) nel 2017 erano disponibili 4 milioni e 736 mila euro, nel 2018, 4 milioni e 173 mila euro, nel 2019, 4 milioni e 193 mila euro e nel 2020, 4 milioni e 642 mila euro. Ci si potrebbe orientare su una “quota fissa” da 4,5 milioni di euro ogni anno per i 391 Comuni, da distribuire secondo i criteri attualmente adottati.

Il fattore monitoraggio

Per tutto quanto già detto, l’applicazione della democrazia partecipata – così come accade per altre normative – è difficile anche solo da monitorare. Le informazioni ufficiali prodotte sia dalla Regione Siciliana che dai singoli Comuni arrivano in ritardo o non si trovano, o si trovano posizionate ed espresse in modo non uniforme, e comunque vanno ricercate ininterrottamente durante tutto l’anno…
Il problema di fondo è che la Regione Siciliana non raccoglie elementi sufficienti per valutare i processi di democrazia partecipata. La “scheda di rilevazione dati” che ogni anno viene trasmessa ai Comuni può bastare per individuare i Comuni inadempienti ma non fornisce alcuna informazione sulla qualità partecipativa dei processi e sull’effettiva partecipazione promossa nei territori. Il documento si limita a chiedere gli estremi della delibera di approvazione del Regolamento sulla partecipazione, la forma di democrazia partecipata adottata, l’intervento individuato e gli estremi dei mandati di pagamento con i rispettivi importi. Davvero troppo poco per vigilare e valutare l’effettivo impatto delle procedure di democrazia partecipata adottate. Serve una nuova scheda di rilevazione dei dati, più completa, e serve ospitare questa scheda su una piattaforma così da digitalizzare il processo di raccolta di queste informazioni e avere dati disponibili in tempo reale.

 

Iria Cogliani